Il suo mondo pittorico è composto da un’arte figurativa veramente contemporanea. Ritratti di personaggi famosi misti a persone comuni, trattate con la stessa intensità pittorica. La sua modalità grafica si identifica fin subito, accompagnata da esplosioni cromatiche che volgono ad un racconto figurativo a rappresentazione delle nuove generazioni, il linguaggio dei Millennial. La sua pittura è intuitiva immediata, veloce, la forza emotiva è l’imprinting iniziale son suggestioni caratterizzanti. Dal primo istante è forte l’impatto visivo che traduce la realtà comunicativa con un percorso assolutamente innovativo. Ci accoglie nel Suo Atelier, osserviamo i suoi lavori nel suo luogo di lavoro e le chiediamo di raccontarci il suo percorso.
ZP: Yessica, dobbiamo sapere come si arriva a questo o meglio da dove nasce la tua necessità di arte?
YA: Personalmente credo di avere semplicemente codificato la mia visione del mondo in maniera diversa, o meglio, di aver prima disegnato con gli occhi. Arte per me è raccontare ciò che vedono loro. Sono quasi certa che questa sia un’operazione compiuta più o meno inconsciamente da tutte quelle persone che hanno una propensione alla creatività in ogni sua forma. Quindi la reale necessità risiede nel bisogno costante del processo creativo, che nasce cresce e si nutre attraverso informazioni visive e sensazioni.
ZP: Credo che le sensazioni circostanti siano importanti soprattutto quando lavori, raccontaci del tuo ambiente.
YA: Gandhi sosteneva che in un atteggiamento di silenzio, l’anima trova il percorso in una luce più chiara e ciò che è sfuggente si risolve in un cristallo di chiarezza. Questo concetto esprime molto bene il modo in cui procedo mentre sono al lavoro. Molto spesso mi ritrovo anche a controllare la respirazione così che la mia linea disegnata o la mia pennellata non possano subire l’ errore. Quando il lavoro ha già una sua impostazione ben definita, posso anche ascoltare della buona musica, di solito jazz o blues, generi che hanno la capacità di trasportarti in luoghi senza tempo, emozioni di struggente difficoltà a rappresentazione di diversità, a espressione di una dote naturale chiamata straordinaria sensibilità. I contro-tempi di questi generi musicali sono caratterizzanti, potere magico che permette una visione dell’ opera da un altro punto di vista. Si sussegue poi quel tempo in cui ogni sensazione acustica non esiste più, tutto viene assorbito in una bolla dove esistiamo solo io e la mia opera.
ZP: Hai un idea di studio ideale, o meglio come lo immagini il tuo futuro studio?
YA: Così ad istinto mi viene in mente un’architettura a base esagonale. Circondato da un ambiente naturale, impossibile non pensare a quei meravigliosi giardini giapponesi con ciliegi e aceri rossi …li amo!! E se immagino il suo interno vedo un unico spazio, circondato da grandi vetrate luminose, con un accesso ad un area farfallario, tra fiori tropicali, ibisco e strelizie, senza dimenticare le piante grasse che mi ricordando il Messico…Insomma se devo immaginare, immagino la flora di tutto il mondo in un solo posto. Un sogno!!!
ZP: E’ una bellissima visione, molto pittorica per l’appunto, ma dimmi tu cosa pensi della pittura o meglio dell’arte di oggi?
YA: L’arte odierna è una questione pungente – ripensando proprio alle piante grasse mi dice ridendo – è argomento da discutersi che raccoglie tante chiavi di lettura. Dall’arte capitalista all’arte artigianale e all’arte romantica. Tanti sono i criteri di un’opera d’arte, dalla bellezza oggettiva all’idea, possono affermare innovazione e originalità, avanguardia e rappresentazione storica, raccontano o individuano ambiguità e nuovi sistemi interpretativi. Penso alla successione storica dell’arte e ripenso soprattutto alla nascita di alcune correnti pittoriche dovute proprio alle connessioni tra gli artisti stessi. Questo sodalizio tra artisti è stata ed è una grande forza, crea percorsi strutturati e intellettualmente riconoscibili. La tua domanda ha in se diverse risposte, quando si parla di arte oggi si parla anche di mercati, e a seconda delle diverse nazioni anche del gusto e del concetto estetico. Per esempio, il mercato Americano è fatto di spinte propulsive, video Arte, performance e installazioni, espressioni lontane dal nostro concetto europeo legata all’abilità artigiana. La tecnologia legata all’arte personalmente la percepisco come una sorta di madre surrogata.
ZP: Chi ricordi averti ispirato, anche ricordi infantili..
YA: Avevo otto, nove anni, ricordo di essere entrata in una libreria con mia madre. La mia attenzione venne catturata immediatamente dalla copertina di un libro che raffigurava un’onda, una immagine potentissima, l’onda che già a dirsi è di facile intuizione… Hokusai solo un grande maestro è capace di produrre un tale miracolo. Da lì in poi il desiderio di capire di più, colori tecnica e soprattutto come realizzare un disegno così meraviglioso. Da quel momento, la mia formazione veniva delineata da una propensione artistica attraverso lezioni di storia dell’ arte e attraverso i miei studi artistici. Conoscere la storia dell’arte e attraversare le nozioni biografiche di grandi personaggi è stata un’ulteriore fonte di grande ispirazione, individuare contesti storici e culturali oltreché riconoscere correnti pittoriche…si tutto questo ha permesso la mia struttura artistica.
ZP: Se potessi trascorrere un giorno con un artista, vivo o morto, chi sceglieresti ?
YA: Se mi avessi fatto questa domanda qualche anno fa ti avrei risposto sicuramente Toulouse Lautrec per la sua capacità di cogliere il romanticismo attraverso forma e colore, racconti di Parigi e di atmosfere da Mouliné Rouge, virtuosismo e avanguardia. Ad oggi penso ad un mondo liquido tra Koons, Ai Weywey, Rhotko dall’artista “artigiano”, all’artista 2.0 che lavora all’opera con innovazione e tecnologia. Poi che dire anche Andy Wharol e la sua Factory, non sarebbe stato male conoscere l’unico e vero precursore di un’arte seriale.
ZP: Un frase per te importante
YA: Mi viene in mente la frase sul frontone del teatro Massimo a Palermo “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita, vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”.
ZP: Se non ti fossi occupata di pittura cosa avresti fatto o cosa farai in un futuro oltre questa attività?
YA: La cucina è un altro mondo culturale davvero interessante poiché conoscere il cibo e usanze ti permette di conoscere altre culture e non solo soddisfare palati più esigenti. Talvolta accarezzo l’idea di uno strumento musicale e penso al Sax, lo metto in lista nei regali per i miei 40 anni!!
ZP: Hai dovuto compiere molti sacrifici per arrivare dove sei ora?
YA: Mi sono ritrovata a fare anche tre lavori contemporaneamente. Se ci ripenso non so come ho fatto, anche se ricordo perfettamente qualche momento di sconforto, ma il fuoco sacro che hai dentro ti porta a compiere azioni straordinarie come, per esempio, dare sette esami tutti nella stessa settimana. Rimpiango di essermi persa parte del fermento sociale durante gli anni universitari, che è terreno fertile di idee e di scambio, pazienza.
ZP: Spiega la tua Arte.
YA: Figurativo, soprattutto il ritratto. I volti che reputo particolari, contesti e incontri casuali che capitano, per esempio, attraversando un mercato o quando resto in attesa alla fermata di un bus. Volti, sempre volti. Quando viaggio ho sempre con me un taccuino per catturare con una matita un’espressione, un sorriso, uno sguardo. Ci sono poi, dei volti bellissimi ma quando non c’è il tempo si ricorre alla fotografia e il mio lavoro di questi ultimi tempi comincia quasi sempre da una fotografia. Molti committenti mi chiedono opere partendo da una fotografia, che sarà un dipinto da regalare ad una persona amata o addirittura mi è capitato in contesti commemorativi. Altre volte studio la struttura del corpo o del volto con esercizi stilistici o parto da un soggetto che mi piace e si da il via ad un nuovo concept artistico. I colori sono contrasti sempre molto accesi e i supporti possono essere diversi tra loro. Io sperimento molto, in linea di massima utilizzo tele o carte particolari con tramature raffinate, come per esempio i fogli Arches. Le tecniche pittoriche spaziano dall’acquerello alla matita colorata, pittura ad olio e penna. Ritratti reinterpretati da una nuova veste, la mia proposta.
ZP: Prova ad usare una frase o ancora meglio una parola per descrivere la tua arte.
YA: Corpi.
ZP: In cosa credi?
YA: Nelle mie capacità, credo anche nelle persone che stimo e che mi sostengono con insegnamenti e critiche costruttive.
ZP: Come ti vedi tra dieci anni
YA: Un’artista completa con molte cose da raccontare, ma in questo mestiere non bastano quattro vite per imparare… per esempio, leggere il testamento spirituale di Hokusai che all’età di 74 anni affermava che all’età di cento anni la sua capacità di dipingere avrebbe raggiunto la dimensione del divino e solo a centodieci ogni linea ed ogni suo punto avrebbero vissuto di vita propria, questo per me è stato illuminante, mi ha dato il senso del tempo che serve per fare bene il mio lavoro.
ZP: Il tuo mestiere ti ha reso felice o ha reso felice altre persone?
YA: La felicità ha tante forme ed io sono una persona felice, la mia vita privata e la realizzazione artistica mi consentono la felicità. Il lavoro genera molta felicità, sopratutto la realizzazione su commissione quando c’è la soddisfazione da parte del committente….una gioia immensa. Quando un mio lavoro viene acquistato da un acquirente che prova un vero e proprio colpo di fulmine, anche quella situazione mi da molta gioia e gratificazione. Il raggiungimento comunicativo attraverso la pittura genera soddisfazione e felicità, un linguaggio universale e senza confini.
ZP: Come la società percepisce la tua figura professionale e come percepisci tu la società?
YA: La società è molto veloce io adoro tempi più lenti, studiare e riflettere. L’artista non ha una natura facilmente classificabile ma nella realtà questa aporia sembra essere stata superata.Verso la fine degli anni ottanta alcuni studiosi hanno fatto riferimento ad alcuni requisiti necessari per essere definiti artisti, tra i più importanti vi era il riconoscimento da parte della comunità. Negli stessi anni Eliot Freidson diceva che il prodotto di un lavoro di un’artista è sì distante da un mero calcolo economico,ma necessariamente inserito in un mercato con conseguente inquadratura professionale. Le più recenti definizioni vedono l’artista come un “attore sociale” e sarebbe quindi l’artista stesso a contrattare il riconoscimento sociale della sua identità respingendo ogni criterio esteriore di definizione. Ecco, questa è la situazione della maggior parte degli artisti che si trovano ad esercitare il loro lavoro in Italia, nonostante altri esempi virtuosi che abbiamo in Europa. Per essere definita professione deve essere riconosciuta oltre che dalla società, anche dalla legittimazione di un inquadramento fiscale tributario e legislativo. Nel nostro Paese, però, non è ancora possibile definirla strutturalmente e le tipologie lavorative si riferiscono generalmente a liberi professionisti o lavoratori autonomi con scarse prospettive di carriera e guadagni aleatori. L’artista consegue una maggiore considerazione a livello sociale in paesi come la Germania, dove c’ è un’avanzata modulistica ideata da artisti tedeschi denominata “Verdi”. In Canada dal 1992 è stato legislativamente adottato uno statuto per artisti che sottolinea la loro importanza come professionisti. Anche l’unione Europea aveva espresso, nel 2007, l’approvazione di una risoluzione volta a fondare uno statuto sociale per gli artisti.
Ringraziamo Yessica Alessandro per il tempo dedicatoci, uno scambio culturale necessario, ci riporta nuovamente alla necessità di arte e al riconoscimento lavorativo connesso alla società… tutto ancora da strutturare. Il pianeta ha bisogno di arte e il pianeta stesso è arte. Ode agli artisti che attraverso l’astrazione costruiscono l’arte.
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