Degli Iperborei, popolo leggendario localizzato da Erodoto nell’estremo nord del mondo abitato, in terre lontanissime mai viste ma solo immaginate, per primi ne parlarono i greci.
Poi fu il filosofo Nietzsche che, nel suo “L’Anticristo”, se ne servì per identificare un’élite culturale del suo tempo: “Iperborei siamo – sappiamo bene di vivere al margine. ‘Né per mare o per terra troverai il cammino che porta agli Iperborei’, già recitava Pindaro di noi. Oltre il Nord, oltre il ghiaccio, oltre la morte- la vita nostra, la felicità nostra…” riferendosi a se stesso e ai suoi lettori elitari, in quanto già nella prefazione del libro precisa: “Appartiene ai pochissimi questo libro. Non ne è venuto al mondo neppure uno di costoro, forse. […] V’è chi nasce postumo.”
Infine è Pietro Castellitto che, nel suo romanzo d’esordio, individua nella categoria degli Iperborei una metafora dei suoi coetanei – i trentenni di oggi – all’apparenza felici, intenti a bruciare il loro tempo senza preoccuparsi di nulla, grazie alla generazione che li ha preceduti e li ha messi al mondo.
I 5 protagonisti del romanzo sono un gruppo di amici dediti alla droga, alla bella vita, si muovono nella Roma bene avvolti in una nebbia di noia e frustrazione: è davvero impossibile empatizzare con loro. Sono ragazzi vuoti, distaccati, e forse l’intento di Castellitto era proprio quello di mostrare la loro inettitudine, creando dei protagonisti che incarnano perfettamente l’antieroe. E’ tutto volutamente estremizzato per dare al racconto una simbologia e un’accezione mitologica – e di nuovo il rimando all’antica Grecia e alla filosofia moderna.
“Vorrei una guerra, Poldo. Soltanto una guerra mi può salvare. Voglio dormire per terra sotto il fuoco, davanti a una città crollata, e svegliarmi all’alba, guardare il cielo grigio sapendo che tutto è distrutto. Che tutto è finalmente distrutto. Finalmente il nulla. Finalmente la vita. E nessuno, neanche noi, a sapere come sarà.”
Vi avverto, questo è un libro che definirei disturbante, e non solo perché i personaggi li ho odiati tutti, ma perché lo stile è sboccato, volgare, diretto. L’io narrante è poco lucido a causa dell’uso di stupefacenti, e viene anche scelta una prosa poco lucida, che deve essere seguita razionalmente per non perdere il filo.
Un libro particolare che segna l’esordio di Castellitto, figlio di Margaret Mazzantini – che ha vinto con Non ti muovere il premio Strega nel 2002 – e Sergio Castellitto – attore, regista e sceneggiatore. Sicuramente il suo essere figlio d’arte è un’arma a doppio taglio, è sia un vantaggio che una grande responsabilità, ma al suo esordio possiamo dire che saputo ben distinguersi trovando un suo particolarissimo stile.