Lorenzo de Concilj nacque ad Avellino il 6 luglio 1776 da Donato e Maddalena Genovese ed è passato alla storia come il Leone degli Irpini. Chiariamo subito che vi è un’incertezza sul modo di scrivere il cognome, e così c’è chi scrive De Concili, chi De Concilii, chi de Concilj e chi De Conciliis. Rifacendosi ad alcune firme autografe rinvenute e citate dal prof. Vincenzo Cannaviello – noto storico avellinese – nella sua opera “Lorenzo de Concilj o Liberalismo irpino”, possiamo affermare che lui stesso si firmava de Concilj. Inoltre fu sempre lui stesso che fece incidere in tal modo il cognome sulla targhetta apposta sulla facciata della sua villa presso il rione Speranza (oggi Villa de Ruggiero al Viale Italia), ricevuta in dono dallo zio Filippo de Concilj.
Lorenzo iniziò gli studi ad Avellino per proseguirli a Napoli dove ebbe come amico e condiscepolo Vincenzo Galiani di Montoro. I suoi familiari lo avrebbero voluto avvocato ma questo giovane, che tanta parte avrebbe avuto nella rivoluzione del 1820, a diciotto anni si arruolò nella Cavalleria napoletana, contro il volere paterno. Fu così a combattere in Lombardia a favore dell’Austria contro i francesi, nelle campagne dal 1794 al 1797. L’anno successivo seguì Ferdinando IV nella campagna di Roma sempre contro i francesi, ma mentre il sovrano riparava in Sicilia, de Concilj diede prova del suo coraggio scontrandosi a Caiazzo con l’esercito nemico e riportando una ferita di sciabola al femore destro.
Nel 1799, trascinato dagli eventi, aderì alla Repubblica partenopea in quanto il suo colonnello vi aveva aderito in sua assenza, iniziando a combattere contro quei lazzari napoletani di cui era stato alleato fino a pochi giorni prima. Raggiunse il grado di capitano e riuscì a fuggire da Napoli quando il cardinale Ruffo ed i suoi seguaci repressero nel sangue la Repubblica e quanti vi avevano aderito. Questi cambiamenti continui danno certamente l’idea della mancanza di una precisa ideologia. Tuttavia de Concilj era un soldato coraggioso e con una salda dirittura morale, coinvolto però nelle vicende contraddittorie della sua epoca e quindi portato a fare scelte anche affrettate.
A seguito degli eventi napoletani, fu amnistiato ma degradato a soldato semplice, poi reintegrato per meriti con il grado di tenente.
Fino al 1806 fu distaccato al comando di una colonna mobile in Irpinia, dedicandosi alla repressione del brigantaggio, cosa di cui si occupò ancora durante il Decennio francese. Nel 1814 riprese a combattere partecipando alla campagna di Gioacchino Murat che, alleatosi con l’Austria, combatteva le truppe francesi ed italiane, guadagnandosi una medaglia d’onore.
Con il ritorno dei Borbone nel 1815, sancito dal trattato di Casalanza, mantenne il suo grado, anzi, l’anno successivo fu promosso a tenente colonnello del reggimento Re Cavalleria. Fu anche decorato come cavaliere del Real Ordine militare di San Giorgio della Riunione.
Erano anni in cui, insistentemente, si chiedeva al re la concessione di una costituzione, più volte promessa. Ed erano anni in cui la setta segreta della Carboneria faceva sempre più proseliti, anche tra persone pacifiche e proprietari che volevano difendersi dai saccheggi e dai briganti.
E così, il 1° luglio 1820 scoppiò la rivolta a Nola, capeggiata dai sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati, e poiché i rivoltosi erano diretti verso Avellino, de Concilj, essendo assente il generale Guglielmo Pepe, si trovò a dover schierare le milizie in opposizione ai rivoltosi. Ma essendo in cuor suo comunque liberale, e comunque amico dei due ufficiali a capo della rivolta, fu pressoché costretto ad accettare il comando dell’insurrezione. Furono queste dal 2 al 6 luglio, le giornate passate alla storia come Le cinque giornate di Avellino. Qui confluirono rivoltosi anche da altre parti dell’Irpinia, come Mercogliano, Monteforte, Mirabella, e tutti insieme raggiunsero Napoli il giorno 9, sfilando con in testa Pepe e de Concilj. La rivolta finì comunque male perché il re promise la concessione della costituzione, sul modello di quella spagnola, ma poi la rinnegò qualche mese dopo. La partecipazione a questa insurrezione, seppure con un apporto limitato, costò a Lorenzo de Concilj una condanna a morte evitata con ben ventisette anni di esilio. Il 24 marzo 1821, insieme alla moglie Margherita Bellucci, napoletana, si imbarcò con una nave sarda per Barcellona dove si trattenne due anni, combattendo nella guerra civile col grado di soldato semplice, e poi come colonnello nell’armata che si oppose inutilmente all’esercito francese. Nel 1823 fu in Inghilterra dove conobbe anche qualche difficoltà economica, sebbene si fossero aperte anche delle sottoscrizioni a favore dei rifugiati, a causa di un peggioramento di salute della sua consorte. Migliorata la salute di quest’ultima, quattro anni dopo partirono alla volta di Corfù, dove giunsero dopo una sosta a Malta, il 12 ottobre 1827. Qui si trovavano anche altri due suoi fratelli, Matteo e Filippo, oltre al generale Pepe. De Concilj continuava ovviamente a seguire anche le vicende italiane, e fu impossibile per lui non partecipare alla rivolta di Ancona del 1830, da dove fuggì subito per evitare di essere arrestato. Nel 1832 si trasferì in Francia dove restò fino al 1848, risiedendo inizialmente a Marsiglia dove ebbe l’occasione di conoscere Giuseppe Mazzini. Qui nel 1833 purtroppo morì la diletta moglie Margherita, a soli trentanove anni.
Nel 1842 si spostò a Parigi dove visse in compagnia dei più illustri esuli italiani come Guglielmo Pepe, Terenzio Mamiani, Niccolò Tommaseo, Giuseppe Massari e dove rimase fino allo scoppio della rivoluzione del 1848.
Tornato a Napoli nell’aprile di quell’anno, in quanto il re Ferdinando II aveva concesso la Costituzione, terminò così il suo lungo esilio portando con sé le reliquie dell’adorata moglie che fu tumulata nel cimitero di Avellino. Fu reintegrato nel grado di colonnello ed eletto deputato al Parlamento napoletano. A maggio tentò di contrastare la reazione del re con le sue truppe, senza riuscirvi. Fu eletto nuovamente con le elezioni ripetutesi a giugno, ma meno di un anno dopo la Camera fu ancora sciolta e la libertà repressa, provocando il suo ritiro a vita privata in Avellino.
Ma nei primi giorni di settembre 1860, sebbene fosse più che ottantenne, capeggiò un gruppo di liberali irpini che volevano agire in occasione dell’arrivo dei garibaldini. Il 7 settembre Lorenzo de Concilj fu proclamato prodittatore del governo provvisorio irpino, carica demandata subito a Garibaldi che lo nominò maggior generale. Nel 1861 fu nominato Senatore del Regno e collocato a riposo col grado di Luogotenente Generale.
Morì ad Avellino il 2 ottobre 1866, all’età di novant’anni, e fu sepolto nel locale cimitero insieme alla diletta consorte. La sua città lo onora con una strada a lui intitolata e, dal 1899, con due targhe, una posizionata sull’ingresso della casa di Corso Vittorio Emanuele, dove morì, (dove ora c’è la filiale della BPER, al n. 156), ed un’altra in via Mancini presso l’ex Palazzo del Comune, con iscrizione dell’onorevole Michele Capozzi. Inoltre, un’altra targa, collocata sul Palazzo della Prefettura in occasione del primo centenario, lo cita ricordando l’insurrezione del luglio 1820.