“Se vòi l’ammirazione de l’amichi nun faje capì mai quelle che dichi”. Così sosteneva Trilussa, il poeta dialettale, massimo interprete dello spirito popolare romanesco. Lapidario ed essenziale. In una battuta fulminante aveva saputo riassumere il senso vero, plastico, di un sentimento tanto antico quanto nobile come l’ammirazione. L’opposto dell’invidia.
Qualche decade prima però il filosofo Soren Kierhegaard affermava più saggiamente: “Chi ammira e sente di non poter essere felice abbandonandosi a questa emozione sceglie di diventare invidioso dell’oggetto della sua ammirazione. Quindi parla un’altra lingua – ciò che realmente ammira diviene nelle sue parole una cosa stupida, insignificante e bizzarra. L’ammirazione è la resa felice: l’invidia è l’infelice auto-affermazione”.
Le persone, da sempre, si sentono sottoposte al giudizio altrui, giudizio spesso dissacrante o infelice, raramente infatti si spendono parole di eloquio, e quindi di ammirazione, verso il prossimo. Quando un ragazzo fa qualcosa di importante egli merita credito, apprezzamento, incoraggiamento, perché ha fatto qualcosa che ai suoi occhi e alla sua età è qualcosa difficile da fare. E lui l’ha fatta a dispetto del mondo e del giudizio, magari poco clemente, degli adulti, giudici severi e implacabili. Nell’ èra digitale sono i like totalizzati a decretare l’ammirazione per quello che si è o per quello che si fa e si è fatto. Sono connesso dunque esisto. Sono ‘seguito’ dunque sono qualcuno. L’isolamento tecnologico spezza l’anonimato e produce l’incantesimo del quarto d’ora di celebrità. A suo modo ci si sente ammirati, o più semplicemente ci si sente vivi in un mondo cannibalizzato dai social e dal giudizio sommario, nonché ossessivo-compulsivo, dei like.
“Così va il mondo, lodare i santi morti e perseguitare quelli vivi”, stigmatizzava Pierre Véron, celebre autore francese vissuto tra nella metà dell’Ottocento. E ancora profetizzava l’attuale società dell’immagine, dell’effimero: “Molti provano dell’ammirazione solamente quando si mettono davanti allo specchio”.
E un suo connazionale, altrettanto celeberrimo, Albert Camus a proposito sosteneva: “Negli uomini le cose da ammirare sono più di quelle da disprezzare”.
Peccato solo che “L’ammirazione è sempre una fatica per la specie umana”.
Come dare torto a colui che ha sostenuto, in tempi non sospetti, una inconfutabile verità, Honoré De Balzac.