Trevico è come uno scoglio in mezzo al mare gibboso d’Irpinia. E’ il vertice di una terra incuneata tra le Puglie e la Lucania. E’ il tetto irpino (è il comune più alto della Campania coi suoi 1.094 metri slm e il più antico della Baronia) in cima a una provincia che scala per fortuna le vette della salubrità ambientale e area. Da qui passò il poeta di Venosa, Orazio, che apprezzò ed elogiò le bontà del villaggio montano alle spalle del Vulture.
Terra ospitale da sempre. Terra d’approdo e terra di partenza.
Come recita un antico motto che riassume lo spirito del luogo:
la porta r’Trevic è semb’aperta, alle influenze, all’accoglienza e al ritorno, p’cchè sciamm e turnamm, assimm e trasimm’...
Eppure questa è terra che sfiora il cielo, e le nuvole carezzano e modellano un paesaggio millenario. La luce gioca coi poggi in una magia di sfumature che si alternano fin dove lo sguardo riesce a contenere le bellezze di un creato che dà le vertigini. Il mondo visto da Trevico sembra un altro mondo capovolto in una prospettiva morbida, dalla gaia tonalità. Trevico è un’isola in mezzo alle correnti del tempo, ferma tra le onde ora verdi ora gialle di panorami che si allontanano fino a diventare un puntino. Quando l’aria è tersa si scorgono orizzonti marini da un lato e vulcanici da un altro. E’ come se l’asse terrestre ruotasse attorno allo spuntone montano inizio e termine di una provincia vasta e remota. Il Gargano in fondo, il golfo di Manfredonia su un versante, il Vesuvio e Campitello Matese su altri versanti. Trevico è la latitudine dell’anima che si dilata. Da quassù si sperimentano sensazioni mozzafiato: è come sporgersi da un terrazzo che si apre su una geografia dei luoghi mutevole come le stagioni della vita. Lo sguardo si perde tra le pieghe silvestri, le morbide distese appenniniche, le brume dei mattini autunnali. Il mondo è concentrato ai piedi di una montagna abitata sin dall’antichità. Solo da Trevico si godono panorami e vedute che altrove sono prodotti di fantasia. Il tempo trasforma, il tempo cancella, il tempo restituisce, ma Trevico resta sempre quella: la cittadella sentinella, solida e sicura, che domina la Baronia che guarda ovunque e mai indietro. Il passato glorioso non si dimentica certo ma gli abitanti sanno guardare avanti mentre nei secoli la popolazione si è assottigliata resistendo comunque alle avversità e alle tentazioni della modernità.
Port’Alba, o Jacovella, è simbolo di Trevico e porta d’ingresso al centro storico che inizia da via Roma. Per i trevicani è semplicemente l’Arco, costruito nel 1578, qualche anno dopo il borgo fu ceduto da Elvira di Cordova, figlia del condottiero Consalvo, a Francesco Loffredo che provvedere a rendere più sicuro l’abitato fortificando le mura di Vico che torna a essere Trevico.
La porta è composta da due pilastri di pietra lavica sormontati da un arco a tutto sesto. La struttura è stata poi abbellita con la costruzione di una loggetta sulla quale si pensa fosse arroccata una statua della dea Trivia, la divinità che proteggeva il paese.
La porta è stata costruita a est, dove sorge il sole, e non a caso, e faceva parte di una costruzione più ampia, e delle mura di cinta a protezione del villaggio. In origine le porte erano tre, oltre a Port’Alba c’erano quella del Ricetto e dei Calderai che davano rispettivamente su Mezzogiorno e sui casali di Baronia ed Aeclanum. Per i trevicani Port’Alba non è solo un monumento ma è qualcosa di più, è simbolo e attaccamento alle origini del borgo.
L’arco è segno di fiducia e portatore di cose buone che ribaltano l’antico adagio:” Se vai a Trevico porta pane e vino tico perché non trovi nessun per amico”. Un detto sbagliato e rovesciato dalla connaturata ospitalità dei trevicani.
I monumenti e i palazzi rispecchiano l’anima di un popolo. E quella dei trevicani è sicuramente ferma e tenace come i luoghi abitati. Così la cattedrale dell’Assunta: è la sintesi perfetta dell’impronta della comunità. Eretta sulla piazza principale del paese la Cattedrale svetta nella sua maestosità architettonica su un luogo da sempre votato all’incontro e agli scambi per le popolazioni della Baronia. Costruita sui resti di un tempio pagano durante il periodo delle invasioni barbariche, intorno al V secolo, è costituita da una navata centrale ampia costeggiata ai lati da sei altari in pietra colorata. L’altare maggiore invece è sormontato da un quadro a olio che raffigura la Vergine assunta in cielo. In chiesa si entra però dal campanile: qui infatti è stato ricavato l’ingresso. Il campanile risale al XVIII secolo ed è sormontato da un orologio. La torre campanaria è stata restaurata più volte a causa dei terremoti che hanno interessato anche Trevico. La cattedrale è un trionfo di suppellettili pregiate, una croce argentea del ‘600 è sicuramente l’oggetto sacro più prezioso. Non sono da meno però la fonte battesimale in marmo che risale al 1618, un coro ligneo del XVIII secolo, vari tele di ntoevole valore artistico tra cui la Madonna con bambino e un trittico ligneo. L’archivio della Cattedrale è un altro gioiello di storia e cultura: contiene libri parrocchiali di pregio che risalgono al 1500 e tre stendardi alti sette metri impiegati nelle processioni e distinti dai colori rosso, celeste e giallo dedicati a Sant’Euplio, all’Addolorata e al SS Sacramento.