Un luogo salubre, appunto sano, e quindi adatto come ‘sanatorio’ ai tempi di pestilenze e flagelli vari. Un luogo ameno ubicato proprio al centro del territorio irpino. Questo è il cuore della verde Irpinia, e il baricentro della vallata florida e lussureggiante solcata dal fiume Calore.
Il paese attuale, ricostruito quasi interamente dopo il sisma del 1962, ha un aspetto gaio e luminoso, e sbuca dopo una serie di tornanti e dislivelli in una valle che è un’esplosione di verde e colture rigogliose. Luogosano vanta una storia antichissima nonostante l’abitato decisamente moderno. Colonia romana sorta nei campi taurasini: qui venne eretto un locale dove stavano gli infermi per la riabilitazione. L’aria pura e l’ambiente favorevole producevano benefici tra i soldati romani che passavano per queste terre diretti nelle Puglie. Altri studiosi opinano che il paese sia sorto dalla distrutta “Cisauna”. Il rinvenimento di lapidi ed altre antichità ne prova l’esistenza nei primi anni del cristianesimo. I longobardi divenuti cristiani costruirono il monastero di S. M. di Locosano che divenne famoso dal 682 al 1012. Esso dipendeva da S. Vincenzo al Volturno e le varie badesse ebbero molte concessioni di beni. Deve ritenersi però detto monastero fondato nel 754 da Teodorava moglie del duca longobardo Romualdo di Benevento. Ai tempi di Gisulfo: 689 al 706 già esisteva una parrocchia in Locosano e l’esistenza del paese che dal Duca Liutprando fu donata al monastero di S. M. di Locosano.
Nel 982 Locosano era un paese di contadini alle dipendenze del monastero di S. Maria. Nello stesso anno l’imperatore Ottone 2° ne fa menzione in un atto di donazione all’abbazia di S. Vincenzo al Volturno con queste parole Cellam quoque S. Mariae in partibus Beneventi dictus “Sanus-Locus”. Nel 1012 P. Sergio IV confermò fra i beni dell’abate del Volturno la chiesa di Locosano. In seguito non se ne parla più data la poca importanza del centro abitato. Nel 1241 il paese di Locosano trovasi ancora così chiamato allorché deve concorrere al mantenimento del Castello D’Acquaputrida. Da quanto risulta, prima feudataria del paese fu la badessa del monastero di S. M. di Locosano sino a che il 5° ente religioso decadde e successe nel feudo Roberto Fontanarosa, Gerardo e fratelli nel 1300.
Dopo fu dei Capece Tomacelli ed il P. Bonifacio 9° lo vendé a Giacomo Filandieri che lo passò al suo 4° genito Filippo il Prete che poi litigò nel possesso. Fu poi dote di Caterina Filangieri che portò il feudo allo sposo Gianni Caracciolo, principe di Avellino, a cui successe Troiano, poi Giacomo Caracciolo che perde il feudo per ribellione.
Nel 1470 vi erano solo 180 abitanti ed era feudo di Luigi Gesualdo. Seguì Fabrizio nel 1577, Luigi 4°, Fabrizio 2°. poi Isabella Gesualdo che sposò Nicolo Ludovisio, seguì la figlia Lavinia morta senza eredi ed il feudo ricaduto alla corte fu comprato dal padre di Lavinia: Nicolo morto nel 1717. Gli eredi vendettero il feudo nel 1725 ad Anna Orimini per Dp. 26454 che a sua volta la Orimini rivendette per Dp. 60000 a Francesco Pedicini, patrizio beneventano che nel 1733 fu fatto marchese di Locosano e morì celibe nel 1778 succedendogli il fratello Donizio 2°, marchese di Luogosano, poi G. Battista che ne fu il 3º ed ultimo nel 1803. Questa terra è conosciuta anche con i nomi di: Lucusano, Locosano, Locossano e Lo Cessano. E infatti nel comprensorio gli abitanti del piccolo borgo del medio Calore sono chiamati in dialetto ‘cossanesi’.
Il borgo medievale, si caratterizza per bei portali in pietra e balconi dalle tipiche balaustre. Di origine paleocristiana la chiesa di San Marcellino, che ha all’interno una bella vasca battesimale del 1586, una balaustra ed una mistilinea in pietra di Fontanarosa; medievale la chiesetta della Madonna del Carmine. Le bellezze architettoniche ben si coniugano con quelle paesaggistiche, come l’area che vede la confluenza tra il fiume Fredane ed il Calore, zona dalla ricca flora e fauna con il pregevole airone rosa. Nei dintorni, il monte Pidocchio, la cui cima è raggiungibile mediante sentieri, per godere dall’alto la sottostante gola descritta dal Calore. Nella Valle del Calore riscaldati dai fuochi allavorati. Il 7 dicembre di ogni anno, nel paese vengono accesi i “Fuochi Allavorati”, falò così chiamati perché forse ben lavorati con tronchi, ceppi, fascine o perché, in passato, venivano fatti bruciare rami di alloro, pianta sacra agli dei pagani. L’occasione è la vigilia della festa dell’Immacolata.