Il turismo fatica a decollare
Qui la vita è slow
Negli ultimi anni sono nati una decina di pargoli: un evento unico per la comunità sempre più anziana. Il primo sindaco donna della Campania, negli anni Cinquanta, ha amministrato Tufo. Adelia Bozza, idee progressiste, maestra elementare e moglie del farmacista del paese.
È stata la prima fascia tricolore in rosa della storia irpina nel secondo dopoguerra.
Tufo è terra di vini e di lotte. Ha dato il nome al Greco, rigorosamente DOCG, giunto fin qui dalla penisola ellenica nella notte dei tempi. È il bianco divino, nettare degli dei per eccellenza. Tufo è terra di zolfo e di vigneti. Qui si vive ancora bene, e anche a lungo.
Lo ammette, giustamente soddisfatto per il primato, pure il sindaco in carica Nunzio Donnarumma. “Senza dubbio qui si sta bene- esclama Donnarumma appassionato di politica e di aviazione-. Di recente qualche famiglia napoletana ha scelto di trasferirsi a Tufo. È il buen retiro di chi fugge dal trambusto metropolitano. L’aria è salubre, e poi siamo terra di eccellenze agroalimentari che fanno gola a molti, per fortuna”. Peccato che i collegamenti viari, e quelli ferroviari, penalizzino il borgo del Greco. Le strade sono tortuose attorno alla fascia pedemontana della Valle del Sabato che marca il confine tra Sannio e Irpinia.
Reggono quelli per Benevento e Avellino. “Non fatevi scoraggiare dalle strade- incalza Nunzio Donnarumma-. Venite da noi: siamo ospitali”. Un invito che suona come uno spot per promuovere un territorio un tempo sfruttato per le risorse minerarie di zolfo e in seguito per i terreni rigogliosi che producono un eccellente vitigno autoctono.
Il Greco è solo quello di Tufo. Eppure i giovani se ne sono andati negli anni, e continuano ad andare via. “Prendono il volo”, chiosa, non a caso, il sindaco aviatore.
Qui resistono solo i più anziani e gli imprenditori vitivinicoli che garantiscono il reddito a numerose famiglie della zona. Eppure cos’ha di diverso la valle del Sabato dalle Langhe piemontesi? O dal Chianti senese? È questa la domanda che tormenta chi amministra e chi resiste ancora.
Questa terra che profuma di mosto e zolfo d’autunno è un angolo incastonato in una vallata florida a pochi chilometri da Avellino e da Benevento. Qui si coltiva il più antico vitigno autoctono d’Europa. La risposta allora è: non ha nulla di diverso ma in apparenza. E’ il gap infrastrutturale e viario a tagliarla fuori dai circuiti che contano anche se i vini prodotti viaggiano, e anche forte, per il mondo. Manca una visione di futuro, e di sviluppo. Mancano strutture ricettive. Il turismo resta una chimera. E quello eno bio esperienziale stenta a partire. “Il Greco è famoso ovunque, ma qui non arriva ancora nessuno- sottolinea con un tono assai mesto il sindaco di Tufo-. Nessuno osa spingersi fin qui. Nessuno, stranamente, è mosso dalla curiosità di visitare le nostre cantine, le nostre vigne”. È un grido di dolore. È una presa di coscienza dura, spietata. Le vie del buongusto, ma non solo a Tufo, sono in realtà sentieri di guerra in Irpinia. I percorsi enogastronomici che dovevano rappresentare la svolta si sono rivelati un flop, una mera invenzione pubblicitaria che non ha portato nulla a nessuno, e non solo da queste parti.
A Tufo negli anni non sono arrivati né turisti né operatori del settore né curiosi.
Nonostante tutto i produttori della filiera non si sono mai persi d’animo e hanno intrapreso altre strade per raggiungere comunque i consumatori che, per fortuna, non sono mai calati.
Si confidava anche nel treno storico, quello del paesaggio, per una ripresa della filiera e dell’economia locale, ma nulla di fatto. Altro flop.